Cohousing
Con il termine cohousing si identificano insediamenti residenziali privati, corredati da ampi spazi di uso comune: cucine condominiali, lavanderie, locali per gli ospiti, laboratori per il fai da te, spazi gioco per i bambini, palestra, piscina, internet-café, biblioteca, ma anche micro-nidi per più piccoli o serre con l’orto per coltivare verdure biologiche. Sono comunità che combinano l’autonomia dell’abitazione privata con il vantaggio di poter disporre di servizi, risorse e spazi condivisi e di instaurare rapporti stretti con i vicini di casa.
Questi “piccoli villaggi cooperativi” sono una delle soluzioni più interessanti per le sfide sociali e ambientali di oggi. Il cohousing è un stile di abitazione collaborativo che cerca di superare l’emarginazione contemporanea dell’individuo nel quartiere.
Di solito, questi progetti comprendono da 20 a 40 famiglie che si sono reciprocamente scelte per convivere in un contesto residenziale e gestire spazi comuni, ottenendo così risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale.
La prima esperienza di cohousing è stata realizzata nel 1972 vicino a Copenaghen; da allora, nell’arco di qualche anno, questo modello si è progressivamente diffuso negli Stati Uniti e nei paesi di cultura anglosassone. Oggi, in Danimarca si trovano oltre 600 comunità, 100 negli Stati Uniti e alcune decine nel resto d’Europa (soprattutto in Olanda, Svezia, Germania e Regno Unito).
Questa nuova concezione dell’abitare (che in realtà è una sorta di “revival” degli antichi borghi) si sta affermando anche nel nostro Paese come strategia di sostenibilità: non solo perché la progettazione partecipata e la condivisione di spazi, attrezzature e risorse agevolano la socializzazione tra gli individui, ma anche perché questa filosofia del “mettere in comune” spesso porta con sé altre scelte e stili di vita: come la costituzione di gruppi d’acquisto solidale o il car-sharing, soluzioni che favoriscono il risparmio energetico e diminuiscono l’impatto ambientale della comunità.